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In Giappone, a 27 Anni devi Sposarti

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In Giappone l’età giusta per sposarsi è 27 anni.

Titolo pesante, non trovi? Vorrei averlo scritto solo per attirare la tua attenzione. In realtà l’ho scritto perché è praticamente la verità.

Poco fa ho terminato di leggere un articolo di Donne che Emigrano all’Estero. È una pagina che seguo ormai da anni; gli articoli sono scritti da donne italiane che vivono in diversi Paesi. L’ultimo pezzo è stato scritto da una ragazza che dopo aver vissuto tre anni a Barcellona – dopo tanti altri anni di esperienze internazionali – ha deciso di tornarsene in Italia. Io leggo l’articolo e penso “wow, questa è una che spacca”, però dalle sue parole percepisco che lei si giudica diversamente. Lei ha 41 anni, non è sposata e non ha figli. Io penso “e mbè?” però intendo che non possedere una famiglia propria può essere pesante a lungo andare.

Riguardo questo tipo di pensiero… quanto viene effettivamente da noi stessi e dai nostri sentimenti, piuttosto che dal mondo che ci circonda? Perché – inconsciamente o no – tutti – ma soprattutto tutte – ci sottoponiamo al giudizio della nostra cultura. Un giudizio che aleggia, in diverse forme, nei cieli di tutto il mondo.


Perché in Giappone a 27 anni sposarti?

Qui a Tokyo frequento amiche e amici giapponesi. Ovviamente parliamo in inglese o spagnolo, altrimenti potremmo solo sorriderci a vicenda. Io potrei anche gesticolare, volendo.
Guardo diversi programmi TV, perché mi interessa osservare il modo di ragionare della gente, studiare il tipo di approccio e così via. Ho capito che… esiste davvero un altro mondo. Tutto quello che avevo sempre considerato “normale” per il tipo di cultura da cui provengo, in Giappone non vale. Ti basta sapere che qui l’esprimere il proprio pensiero è mal visto ed il confronto di opinioni è un miraggio. Praticamente una Veronica-free zone.

Ho sempre immaginato noi donne pensare al proprio futuro in questo modo: studierò, lavorerò, magari mi innamorerò di una persona, magari mi sposerò, magari avremo dei figli. #Magari 

Perché… non siamo dei robot. Giusto?

In Giappone, le aspettative sono molto diverse: inizierò a lavorare non appena finisco l’università, entro 27 anni mi sposerò, entro i 30 almeno avrò il primo figlio e finalmente lascerò il lavoro. #Pianificazione

Ma che dici Vero’. Esagerata. Mbe‘ vieni a vivere qua. Poi ne riparliamo. Sposarsi, in Giappone, vuol dire raggiungere una tappa importante per la tua immagine all’interno della società.

L’altro giorno stavo guardando un reality giapponese, c’era una ragazza di 24 anni, single, che dialogava con un’amica. “Sai, voglio divertirmi per i prossimi due anni, perché poi avrò quasi 27 e dovrò sposarmi”. Scusa, una domanda… ma co’ chi te sposi? Ma lui lo sa? Esiste? Ma famme capi’, quando ti sposerai non potrai più uscì dde casa?

Ecco perché poi ci tocca vedere gente che si sposa con i personaggi in Realtà Virtuale (è tutto vero):

Qui, oltreoceano, sono molto avanti per tante cose e molto indietro per tante altre. Quanto scritto sopra vale ovviamente per le donne, ma anche gli uomini non vengono risparmiati.

Sposarsi in Giappone: agli uomini giapponesi non va di certo meglio…

Dal 2012 la crisi economica ha colpito anche il Giappone, e questo ha fatto sì che la precarietà professionale sia una realtà. Di conseguenza, alcuni uomini rimangono single perché se si sposassero non sarebbero sicuri di poter mantenere una moglie ed eventuali figli, dato che – come già specificato sopra – se una donna sposata rimane incinta, solitamente, smette di lavorare. (leggi l’articolo sugli Erbivori giapponesi). Se in Italia fosse così, in questo momento a fare figli ci sarebbero solo i politici. E allora sì che si chiamerebbe “Governo del cambiamento”.

Ed ecco qui che si parla di una pressione sociale spaventosa che fa del il Giappone uno dei Paesi con il maggior indice d’infelicità al mondo.


Ci sono delle eccezioni? Sì, ovviamente… e per fortuna. Ci sono donne sposate, con figli, che lavorano. Ci sono donne non sposate, che non hanno figli e che lavorano. Poi ci sono io, che ascolto lo sfogo di queste persone, che un po’ si ribellano alla loro cultura, si chiedono perché debba essere tutto così pianificato e perché debbano sentirsi giudicate solo per aver saltato i punti di un copione che non hanno scelto di dover recitare. Ammesso che un copione si scriva per punti. Non lo so, scusa.

Io, loro, le capisco. Cerco di mettermi nei loro panni. Però, mannaggia alla miseria, sono tutte troppo magre.

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